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sabato 11 agosto 2018

Capire, senza domandare

C'è stato un periodo , tanto breve da poterlo quantificare in un mese, in cui avevo presa la decisione netta di smettere di fare domande.

Avevo passato l'infanzia a farmene una marea. Preciso "farmene", perché non chiedevo mai nulla. Un po' perché le mie domande erano difficili anche per me che me le ponevo e non riuscivo ad esternarle formulandole in maniera chiara, un po' perché quando ci riuscivo non reputavo le persone in grado di rispondermi, un po' perché mi vergognavo e non volevo rivelare quali fossero i miei dubbi e i miei pensieri, trovandolo disdicevole.

Quindi ho smesso di fare domande a voce alta il giorno che mio padre sbottò, sfinito dal mio incalzare, ma ho continuato comunque dentro di me a fomentare dubbi e incertezze, a seconda del caso.
Man mano che crescevo attingevo dai libri le informazioni che mi servivano , e avevo sviluppato una sorta di ancestrale reverenza verso la carta stampata soprattutto se i fogli erano gialli. Lì vi doveva essere per forza una qualche rivelazione passata inosservata al resto dell'umanità, ed io ero lì pronta a riscoprirla. Ogni testo diventava una grande conoscenza per me, fonte di verità e di infinito sapere, e mi sentire bene sapere che quando qualcuno domandava qualcosa, io sapevo la risposta. Non sempre la condividevo perché la mia voce era troppo flebile per essere udita, la tenevo per me e dentro me la facevo gongolare fino a diventare un segreto bellissimo che mi permetteva di sentirmi superiore ad un sacco di persone.

Con la scuola questo si rivelò logicamente un'arma a doppio taglio, e quello che sapevo era ciò per cui venivo categoricamente punita, come se fosse un'eresia. Non credo di esagerare dicendo di sapere cosa si prova a venire tormentati, e in linea di massima ho una vaga idea di come debba essere un martirio subito da ignoranti che solo perché in gruppo credono di avere ragione. Solite storie di bullismo, diciamo.

Quindi ho cercato nel tempo di imparare a equilibrare quello che bisogna dire, non dire, chiedere e non chiedere. Non ci sono riuscita.

Ne ho provate fino a quando un giorno ho preso la decisione interiore di "concentrarmi sulle risposte" che avevo, visto che di domande ne avevo fatte fin troppe fino a quel momento.
Stava anche funzionando. Se qualcosa non mi tornava attingevo a quello che sapevo, quello che avevo conosciuto, quello che avevo scoperto sulla mia pelle o per mezzo dei libri. Era stato un bel salto di qualità.

Poi sono ricaduta nel baratro dell'incertezza e dell'insicurezza. Mi ero accorta che non riuscivo più a trovare il fulcro caldo delle mie sicurezze dentro me, e le cercavo altrove, attingendo però da una fonte velenosa da cui non riuscivo a staccarmi, abbeverandomi avidamente nella speranza che alla fine sarebbe arrivata una sorgente limpida dopo i primi sorsi venefici.

Lì ebbi l'accortezza di rendermene conto quasi subito, smettendo e attingendo di nuovo a me. Ma appunto, durò un mese. Un mese in cui ebbi il totale controllo sulle mie esternazioni, ma non sulle tempeste che dentro mi stavano travolgendo e devastando.

Ripensandoci, no. Non avevo il controllo di nulla. Ero in balia delle mie stesse orribili sensazioni, dei miei malsani sentimenti e mi stavo facendo male, permettendo ad un cretino di farmene nel peggiore dei modi.
Se riuscii a dire basta fu solo perché cercai la salvezza che non ero sicura di darmi, attraverso l'infatuazione verso qualcuno che mi distraesse dalla fonte malvagia in cui mi stavo dissetando.
Sapendo di non riuscire da sola, sfruttai qualcun'altro di meno pericoloso, lasciandolo lì poi, successivamente, quando capii che non aveva molto di ciò che realmente desideravo (vedasi il post precedente).

Da tutto questo poi avrei potuto imparare molto...e per un altro po' di tempo sono riuscita a godermi ciò che di bello può dare una relazione un po' fuori dal comune. Che era quella con la persona che desideravo, anche se non ...la più facile.

La verità è che ultimamente, mi sono persa. Ora che la frenesia è sparita, e ho il tempo di parlarmi un po', mi sto rendendo conto della trappola in cui mi sono andata a cacciare.
Ho fatto l'ennesimo disastro. E' che non riesco a venirne fuori, mi sento intrappolata, senza uscita, senza respiro... mi sento tutta sbagliata.

Ho bisogno di tempo per parlarmi ancora, e stabilire perché le mie insicurezze valgano più delle certezze che ho. Basta domande, basta punti interrogativi, basta dubbi, basta perché senza fine.

Aveva funzionato, può rifunzionare. Devo calmarmi, sperando di non aver rotto l'ennesimo gradino.
Vorrei tornare indietro, e ripartire, ed essere la persona che gli sembravo all'inizio, migliore di ciò che sono ora. Eppure prima...prima non sapevo che mi amava, e quindi ogni briciola di speranza la lasciavo maturare nel mio cuore, divorando i miseri frutti che riuscivano a maturare, e mi bastavano per andare avanti e continuare a piantare, e farne nascere un giardino . Ed ora che ho una Babilonia immensa e rigogliosa per me, cosa sto facendo? Perché voglio calpestare tutto? Perché distruggo ciò che è stato costruito finora?

Mo Anam. Mo Anam . Mo Anam. Dimmi che posso recuperare ciò che ho distrutto.



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